E’ delle ultime settimane una accesa diatriba sul Palazzo dei Diamanti.
Il Palazzo, tra i simboli indiscussi del Rinascimento italiano, progettato da Biagio Rossetti per conto di Sigismondo I d’Este nel 1492, è oggetto di una polemica e rimpallo di competenze tra il MIBACT e l’Ordine Architetti P.P. e C. di Ferrara a causa di un concorso internazionale di architettura.
I concorsi di architettura sono da sempre lo strumento che permette ai progetti vincitori di migliorare zone precise dei luoghi che abitiamo: l’impedimento della loro realizzazione, addirittura a posteriori, non solo vanifica tutto il lavoro svolto dalle professionalità coinvolte, ma contemporaneamente rende inutile lo strumento stesso del concorso, togliendo a quella porzione di città la possibilità di nascere o rinnovarsi. Il Palazzo dei Diamanti, sede di continue mostre ed eventi culturali, non sarà ampliato. A nulla è valsa la vittoria di un concorso internazionale, strumento forse non sempre perfetto, ma garante di qualità e imparzialità nell’affidamento degli incarichi di progettazione.
La querelle porta ad una prima riflessione necessaria per poter avere la giusta obiettività per poter affrontare un argomento di così vasta portata: quale è oggi il concetto di Museo. E’ in atto oramai da tempo una rivisitazione di questo concetto un tempo avulso dalla realtà ma rivolto invece ad un atteggiamento introspettivo ed autocelebrante di se stesso. Il Museo (o meglio i Musei) non sono più spazi dedicati alla esposizione di se stessi, ma spesso padroni di casa di celebrazioni altrui, vuoi mostre temporanee vuoi mostre permanenti di dipinti, sculture ma non solo. Giusto o sbagliato che sia forse è un voler essere al passo dei tempi attuali. Mutiamo noi, nelle nostre abitudini nei nostri atteggiamenti. Perché un Museo dovrebbe rimanere uguale a se stesso? Forse invece l’occasione “diversa” può farci nascere la curiosità di vedere veramente ciò che abbiamo sotto gli occhi magari tutti i giorni ma lo guardiamo solamente.
Tanti i pro di questa azione che si voleva intraprendere, altrettanti i contro.
Dunque nei pro è riassunto già quanto appena detto. Inoltre.
Anche il voler proporre un concorso di architettura può essere definito un pro. La macchina culturale è un bene inestimabile soprattutto per l’Italia ma di questo sembra che se ne accorgano in pochi.
Una rivisitazione o, come in questo caso un ampliamento può essere definito come un insulto a questa macchina culturale? Forse per alcuni sì.
Tanto che il concorso è stato annullato dalla Sovrintendenza nazionale, dopo essere stato invece approvato dalla Sovrintendenza locale.
Allora qui una prima domanda sorge spontanea: sarà mai possibile avere comunione di intenti tra Enti statali ed Enti locali? Di fatto il decentramento istituzionale esiste, non lo abbiamo inventato noi. Dunque quando questo decentramento istituzionale è realmente autonomo e quando no?
Neanche sembrerebbe il caso, questo, di voler tutelare una espansione incondizionata e assurda di una città che, proprio grazie ad un rinnovato Piano del Centro Storico realizzato nel 1975, l’ha tutelata e l’ha fatta assurgere a patrimonio UNESCO. Un centro storico di assoluta qualità e bellezza realizzato proprio perché allora è stato concepito come “un organismo unico, un unico monumento, fatto di una gamma articolata di manufatti tutti necessari nella loro reciproca coerenza”.
Forse si potrebbe iniziare a pensare di aver fatto un passo in avanti nella maturità intellettuale della conservazione dei Beni culturali tutti. Forse si è diventati finalmente “grandi e responsabili”. Forse non è del tutto sbagliato volere una convivenza tra antico e moderno. A chi giova la cristallizzazione di un certo luogo in un determinato periodo storico?
Doveroso riportare anche il parere di chi è contrario: di Andrea Malacarne, esponente di primo piano di Italia Nostra: ” Il Comune di Ferrara, cui è stata affidata la cura di uno degli edifici più conosciuti ed importanti del Rinascimento italiano, crede di avere il diritto di modificarne in modo permanente l’aspetto per dare risposta ad esigenze di maggiori spazi di una della proprie istituzioni. Se questo sia lecito o no, necessario o no è il vero nodo della vicenda di Palazzo dei Diamanti e non se il progetto vincitore del concorso sia bello o brutto. L’architettura contemporanea ha, come in ogni epoca, un ruolo fondamentale per la vita delle persone e delle comunità. La buona architettura ha, io credo, il compito e il dovere di portare o riportare qualità dove essa non esiste, soprattutto in quelle parti di città dove l’edilizia e la cattiva architettura hanno prodotto danni per molti decenni dello scorso secolo, in particolare in Italia . Diversamente però da tutte le epoche precedenti, poiché diversa in esse era la coscienza della storia e la percezione dell’importanza delle testimonianze storiche, dovrebbe oggi essere acquisito ed evidente che non può essere buona architettura quella che si realizza a scapito della qualità preesistente o che tende a sovrapporsi ad essa. Non è quindi oscurantismo quello di chi si oppone all’ampliamento, ma seria valutazione di non opportunità di un intervento di architettura contemporanea che creerebbe problemi molto maggiori di quelli che risolve.
Come giustamente denunciato da Italia Nostra fin dall’uscita del bando del concorso di progettazione il problema vero è un altro. Il Comune di Ferrara decide dogmaticamente di voler mantenere nello stesso edificio due funzioni incompatibili con gli spazi disponibili: la Pinacoteca Nazionale e le grandi mostre organizzate da Ferrara Arte. Ritiene giusto, essendone il proprietario, nella convinzione di soddisfare le esigenze di almeno una delle due funzioni (ovviamente quella delle mostre) metter mano al “contenitore” ampliandolo di oltre 500 metri quadrati. L’occasione è offerta dalla possibilità di ottenere i fondi attraverso il progetto del Ministero dei Beni Culturali denominato “Ducato Estense”. E’ un problema se il contenitore è uno degli edifici simbolo del Rinascimento Italiano? Assolutamente no: basta filtrare il tutto, in sorprendente accordo con la locale soprintendenza, attraverso un concorso internazionale di progettazione. Ma un concorso che si basa su presupposti sbagliati non può che produrre risultati sbagliati. Il progetto infatti (e la conseguente realizzazione che io spero mai avvenga) non risolve affatto i problemi delle due funzioni.
La Pinacoteca non ha oggi spazi per ampliarsi e non li avrà nemmeno dopo. Eventuali auspicabili acquisizioni o donazioni sono destinate, a Ferrara, a rimanere nei depositi o ad essere esposte in sostituzione di altre opere. Già questa prospettiva dovrebbe essere inaccettabile per i chi si occupa seriamente di cultura”.
E ancora: “Altro argomento chiave che induce ad opporsi alla costruzione di un edificio nel giardino di palazzo dei Diamanti è il timore che l’eventuale approvazione dell’intervento proposto in un edificio di questa importanza possa costituire un precedente tale da produrre conseguenze devastanti agli spazi di pertinenza degli edifici monumentali in tante altre parti del Paese: perché a Ferrara sì e altrove no? Gravissimi i danni potenziali anche per la città. Come può il comune continuare ad imporre, con ragione, ai privati il rispetto assoluto dei giardini degli edifici storici se costruisce un edificio di 500 metri quadri nel giardino del più bello ed importante di questi edifici? Se il centro storico di Ferrara è stato dichiarato dall’Unesco “patrimonio dell’umanità” non è per caso, ma perché sono state da decenni definite delle regole. Non può essere l’ente pubblico a calpestare le regole che impone, seppure per presunti (ma in questo caso inesistenti) motivi di pubblica utilità, perché troppi sono gli interessi e le pressioni che non aspettano altro che le regole spariscano per riprendere indisturbati a devastare le parti più belle delle nostre città.
Uno degli argomenti addotti a favore dell’intervento, che denota chiaramente coda di paglia, è la reversibilità. Ma siamo seri: davvero qualcuno può credere che un intervento che costa sulla carta due milioni e mezzo di euro possa essere reversibile? Chi lo sostiene dimostra quanto meno assoluto disprezzo per il valore del denaro pubblico, caratteristica che, onestamente, non mi pare sia stata propria di chi ha governato la città nell’ultimo decennio.
Qualcuno ha affermato, nel corso del dibattito in atto, che la mancata realizzazione del progetto costituirebbe un incredibile smacco “soprattutto culturale”. Io credo che la cultura, quella vera, non quella di chi non sa vedere al di là delle esigenze del proprio orticello, debba avere visioni ampie e complessive, capaci di pensare al futuro, ma sulla base della conoscenza e del rispetto del passato”.
Eccetera eccetera eccetera.
E’ però giunto il momento di capire questo tanto contestato concorso progettuale. Il concorso si riferiva alla progettazione dell’area retrostante il Palazzo. In origine questa area era un parco ma oramai è un luogo abbandonato e anonimo al massimo utilizzato per qualche anno come cinema estivo all’aperto. Quindi non si entra nel merito della qualità progettuale ma si contesta dalla radice l’oggetto del concorso. Infatti il progetto non riguardava in alcun modo un ampliamento o un intervento sul Palazzo bensì ad una eventuale riqualificazione ed un conseguente riuso dell’area retrostante. Che finalmente torna ad essere un parco.
Dunque la scelta, anzi la non scelta dello Stato è – come spesso sta accadendo – lasciare in abbandono un luogo piuttosto che mettersi in discussione e accettare o offrire proposte.
Non si vuole qui ricorrere alla solita tiritera dei: posti di lavoro andati in fumo, occasioni economiche perse, ecc. ecc.
Non ora, in questo momento dove si ricorre alla s-vendita di tutti i nostri brand, le nostre realtà monumentali e di tutto quanto è Italia al miglio (o peggior..?) offerente.
Ci piace riportare testualmente una opinione, quella di Toomaso Cristofori – Consigliere Comunale: Sorvolando su come si è arrivati a questa bocciatura, che dovrebbe preoccupare molti, io penso che l’errore di chi ritiene non ammissibile quell’intervento, sia proprio nell’affermare di non voler affrontare la proposta progettuale risultata vincente, perché a priori non riconosce più per quello che è nella realtà il complesso museale Palazzo del Diamanti, ma diventa “l’oggetto Palazzo”, un’opera d’arte a sé, come se si trattasse un quadro di Caravaggio o La pietà di Michelangelo.
Quanto si afferma che il vero nodo della vicenda è: si può fare o no, c’è bisogno o no? E contemporaneamente si dice: “Non è questione di giudicare se l’intervento è bello o brutto” (“il progetto vincente è anche bello” ammette anche Sgarbi) si perde di vista la proposta. E’ come se si volesse dare un giudizio su un’automobile, un paio di scarpe o di una barca, mentre invece stiamo parlando di uno spazio, di un luogo (vivo o morto); di un volume, che dialoga con l’intorno, che può valorizzare o mortificare quelle forme e quelle funzioni, che si relaziona o non si relaziona con gli spazi interni ed esterni, che può contribuire ad allungare o ad accorciare la sua vita, che esalta o ne riduce il suo ruolo non solo nel perimetro del palazzo, ma anche nel rapporto con tutta la città. Per questo non può essere considerato come un elemento autonomo. E’ qui che cade il ragionamento, ed è proprio questo che rappresenta in un certo senso la sfida o la “resa” dell’Architetto, ma anche per un altro verso la sfida o la resa della Politica.”.
Tristezza dunque, per non avere una classe politica “giovane” nel senso metaforico del termine. Che preferisce non discutere né mettersi in discussione. Preferisce non affrontare e basta. Preferisce cristallizzare tutto al periodo storico in cui un certo luogo viene realizzato e non adeguarlo o viverlo. Sopravvivere: questa è la parola d’ordine.
Ma il dibattito è aperto. Sempre e comunque.
(Fonte: Ferraraitalia – quotidiano indipendente;